FINALMENTE EGITTO (6)

DEIR EL MEDINA E TOMBE DEI NOBILI

Situato sulla riva occidentale del Nilo di fronte all’odierna Luxor, Deir el Medina era il villaggio degli artigiani preposti alla realizzazione delle tombe reali. La sua storia inizia tra il 1525 e il 1504 a.C. quando Amenhotep I scelse per la propria sepoltura un’area desertica ai piedi della montagna tebana a metà strada tra due wadi che prenderanno il nome di Valle dei Re e Valle delle Regine. Il faraone istituì perciò un gruppo di artigiani specializzati per la costruzione della sua tomba.

Il successore, Thutmosi I, seguì la strada tracciata da Amenhotep con la variante di raggruppare tutto il personale in un unico villaggio. Sorse così Pa demi (la cittadina) che per 500 anni, tranne il periodo “vuoto” di Akenhaton quando il personale fu trasferito ad Amarna, fu la residenza di generazioni di pittori, scultori, artigiani e costruttori. In questo mezzo millennio tra nuove case, ristrutturazioni di quelle vecchie e ampliamenti areali, si è passati dalle iniziali 60 abitazioni circa alle finali 120 per un totale di circa 500 abitanti. Quello che risulta subito evidente alla vista del villaggio è la modularità e uguaglianza delle costruzioni che esprimono concetti costruttivi e urbanistici di una straordinaria modernità.

Deir el Medina fu scoperta dall’archeologo italiano Ernesto Schiaparelli, che qui scavò tra il 1905 e il 1909. Scavi che proseguono ancora oggi sotto la direzione del dipartimento delle Antichità Egiziano. Molte sono le curiosità di questo villaggio:

visto in pianta ricorda una nave e proprio come su una nave, le abitazioni sono divise dalla strada principale in due grossi quartieri quello “di dritta”, a est, e “di sinistra”, a ovest.

Anche le maestranze erano suddivise in “squadre di tribordo” e “di babordo”, composte da circa 60 unità ognuna capeggiata da un architetto caposquadra.

L’area era desertica, priva di sorgenti e nonostante il profondo pozzo scavato inutilmente per cercare l’acqua, il villaggio ne era totalmente sprovvisto. Il rifornimento idrico veniva quindi effettuato da carovane provenienti dal Nilo, lontano pochi chilometri.

Le maestranze raggiungevano il luogo di lavoro percorrendo un sentiero (ancora oggi esistente e percorribile ma per ragioni di sicurezza chiuso ai turisti) che passa sulle creste delle falesie che dominano la Valle dei Re e su cui sono ancora visibili i luoghi di sosta dove erano posizionate le sentinelle che garantivano la sicurezza delle tombe.

La settimana lavorativa era di dieci giorni dopo i quali gli operai tornavano al villaggio per due giorni di riposo.

Considerato che gli uomini erano lontani dal villaggio per gran parte dell’anno, Deir el-Medina era una comunità in gran parte femminile. Donne dalle elevate capacità organizzative e intellettuali che dovevano provvedere, oltre ai normali lavori domestici, al mantenimento del villaggio nel suo insieme logistico e degli approvvigionamenti.

Molti sono gli “ostraka” ritrovati, veri e propri messaggi inviati ai mariti lavoratori, i primi post-it della storia.

A nord del villaggio c’è un enorme pozzo profondo circa 50 mt. Scavato senza risultati per la ricerca dell’acqua fu utilizzato dagli egizi come discarica. Qui gli archeologi hanno potuto trovare importantissime testimonianze, calcoli, appunti, bozze, progetti, disegni e testi scritti su frammenti di cocci (ostraka) il papiro era troppo costoso quindi si scriveva su pietre e cocci di cui si disponeva in quantità illimitate. Un vero e proprio pozzo di informazioni.

Deir el Medina non è solo un villaggio, è anche una necropoli in cui le sepolture di operai e artisti, nulla hanno da invidiare alle tombe dei Nobili. Si tratta di tombe perlopiù costituite da una piccola piramide costruita in materiale povero e deperibile e da un ipogeo, un vano sotterraneo dalla volta di mattoni.

In queste tombe, come in quelle dei Nobili, le raffinate opere pittoriche sono spesso di altissima qualità e raffigurano quadri di vita quotidiana, uomini che fanno il vino, mietono il grano, lavorano nei campi, tagliano i capelli, mentre cacciano o pescano, presentano doni agli dèi o al faraone… splendidi dipinti murali la cui tecnica e soprattutto i colori ancora vividi, lasciano stupefatti.

Opere magnifiche che mi offrono lo spazio per un’ultima considerazione: agli egizi piaceva raffigurarsi sempre giovani, mai anziani. Vanità? No, solo la loro credenza e fede in una vita ultraterrena, un culto radicato e profondo.

Lasciate le tombe e il villaggio alle spalle, raggiungiamo il tempietto di Deir el Medina, una piccola costruzione dal cui tetto si può godere della vista sul Ramesseum e la verde campagna coltivata della West Bank, ultimo confine con l’immensa distesa gialla del deserto.

Procediamo a piedi verso nord per vedere da vicino la profonda voragine del pozzo, sulla sabbia si possono trovare un infinità di piccoli pezzi di manufatti. Chissà a quale epoca appartengono, in ogni caso il loro posto è qui, così dopo qualche foto li lasciamo dove li abbiamo trovati.

Dopo una mezzoretta arriviamo al laboratorio di Ahmed dove ci rinfreschiamo con una bibita fresca. Ahmed incide lastre di pietra con piccoli scalpelli riproducendo dipinti e bassorilievi egizi.

Lo consiglio, ho acquistato da lui un bellissimo scarabeo scolpito. La trattativa è d’obbligo.

Nella prossima puntata:

in viaggio lungo il Nilo e i templi di Edfu e Kom Ombo.

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