“Marco accende il faro, illuminato per la prima volta dopo millenni, appare un corridoio lungo una decina di metri. Il soffitto e le pareti sono riccamente decorati e in fondo si distingue un…”
In questo breve passo del romanzo si legge tutta l’adrenalina e la passione di Marco, il giovane archeologo protagonista de L’ultimo scriba, quando scopre la tomba inviolata di un alto dignitario egizio. La stessa emozione che attanagliava la gola di Howard Carter quando, un secolo fa, apriva un varco nel muro che chiudeva la tomba di Tutankhamon.
Dal diario di Howard Carter. Novembre 1922:
“Era venuto il momento decisivo. Con mani tremanti praticammo una piccola apertura nell’angolo superiore sinistro…”
“Potete vedere qualche cosa?” chiese Lord Carnarvon.
“Sì, cose meravigliose” fu la mia risposta.
Anche se non dirette e dirompenti come quelle degli archeologi, le stesse emozioni le possiamo vivere anche noi, spettatori dei tesori che la sabbia del deserto e i fondali del mare egiziano restituiscono alla nostra vista.